sabato 27 luglio 2013

Del linguaggio...




Il linguaggio rituale autoritario si diffonde ormai su tutto il mondo globalizzato e secondo Roland Barthes è un "linguaggio proprio di tutti i regimi autoritari". Oggi che la sostanza dei differenti regimi non si manifesta in più modi di vivere alternativi, si adagia invece in differenti tecniche di manipolazione e di controllo, soprattutto laddove non sembra trasmettere ordini ma informazioni,dove non chiede,come un tempo, obbedienza ma scelta e libertà. 




Questo controllo viene esercitato dal linguaggio mediante la riduzione di forme linguistiche e dei simboli usati per la riflessione e lo sviluppo e soprattutto mediante la sostituzione di immagini ai concetti. E non importa che i destinatari credano o meno a ciò che viene loro detto, quanto che curandosene o meno, pur tuttavia agiscano in conformità ad esso. Una persona infatti non crede in una proposizione che esprime un concetto operativo, ma è la proposizione stessa che va a giustificarsi nell'azione. Ciò detto,evidenzia come il linguaggio politico è divenuto essenzialmente un linguaggio pubblicitario e colmando la lacuna tra le due sfere della società un tempo agli antipodi, ne consegue che questa tendenza esprime meglio di altre quanto il potere e l'amministrazione hanno cessato di essere funzioni indipendenti nelle società ipertecnologiche odierne. Ciò tuttavia non significa che il potere dei politici sia diminuito, anzi tutt'altro, infatti quanto più la sfida che essi cavalcano assume carattere globale, tanto più questi sono liberi da una effettiva sovranità popolare ed i nuovi simboli della politica divengono così quelli degli affari, dello sport e del commercio. Con il che la congiunzione tra politica, affari e divertimento è totale.
Questo linguaggio di slogan ad hoc non dimostra e non spiega, ma comunica con decisioni ed input dettati dal e sul momento. E come ogni linguaggio che definisce, stabilisce a priori torti o ragioni e prende un valore per giustificarne un altro. Al tempo stesso è carico di una falsa familiarità, risultato della continua ripetizione e del tono diretto e popolare che viene abilmente impartito alla comunicazione. Si stabilisce in tal modo una relazione immediata con il destinatario, abolendo le distanze di status e di educazione. La stessa familiarità viene stabilita per mezzo di un linguaggio personalizzato che svolge un ruolo considerevole nelle tecniche di comunicazione. Si parla infatti sempre del "Tuo" negozio, del "Tuo"giornale, del "Tuo"deputato, ogni cosa viene così rapportata intorno ed in una prossimità totale a noi. In siffatta maniera cose e funzioni generali, prodotte in serie ed imposte al pubblico, vengono presentate come se fossero state create "esclusivamente per noi". Ecco che, facendo un passo indietro, fa poca differenza che gli interpellati ci credano o meno, il successo di questa tecnica indica che essa promuove l'identificazione degli individui con le funzioni che essi e gli altri svolgono. E, questo esistere come strumento, come cosa è la forma di servitù dell'individuo connaturata alla globalizzazione. 

lunedì 22 luglio 2013

Informazione e Comunicazione


Questo mio nuovo articolo trae spunto dal mio precedente post "Dalla comunicazione di massa al caso DATAGATE" per approfondire opportunatamente alcuni aspetti significativi intorno al tema informazione e comunicazione.
Vorrei partire dal Libro Bianco del 1994 ("Crescita, competitività, occupazione - Le sfide e le vie da percorrere per entrare nel XXI secolo") per sottolineare la rilevanza, la centralità e la progressiva pervasività della cosiddetta Società dell'Informazione, concepita come apertura di una realtà multimediale portatrice di profondi mutamenti strutturali, pari a quelli della prima rivoluzione industriale.
Essa nasce laddove i servizi offerti dalle tecnologie dell'informazione e delle comunicazioni fungono da supporto alle attività umane, rappresentando anche un'importante opportunità occupazionale, perché grazie ad un accesso più diretto, ma anche razionale dell'informazione, sarà più semplice individuare e valutare l'attività economica ed essere concorrenziali.
E' evidente che il passaggio e l'approdo verso una società dell'informazione ha richiesto notevoli capacità di adattamento. Infatti è importante non sottovalutare il rischio di esclusione culturale o di una società a due velocità ed è in questa direzione che stanno andando direttive specifiche per arrivare ad una società più democratica, risolvendo prima di tutto la questione sulla disparità nella diffusione delle tecnologie e nell'alfabetizzazione informatica.
L'attuale situazione della nostra società avanzata è tale per cui la quantità di informazione disponibile e utilizzabile per la produzione di beni e servizi è ormai così sterminata da doversi necessariamente riferire alle macchine, alle memorie artificiali, come solo possibile "soggetto" in grado di contenerla e dominarla adeguatamente. L'Unione Europea parla oggi di una "Società della Conoscenza" come orizzonte direttivo delle sue politiche comunitarie di istruzione, divulgazione, educazione degli adulti, con il proposito di vincere le sfide del mercato globale che richiede una diffusa capacità di utilizzare i nuovi mezzi prodotti dalle tecnologie.
Però la nostra società è sempre più un "villaggio globale" direbbe McLuhan, dove globalità e globalizzazione sono componenti essenziali del nostro vivere sociale e pertanto siamo circondati da un ampio e complesso orizzonte informativo che risulta difficilmente governabile se non disponiamo di strumenti adeguati per operare e dunque diviene centrale razionalizzare le informazioni da reperire, a maggior ragione in seguito al fenomeno Internet che ha posto a fianco delle tradizionali fonti cartaceo-bibliografiche quelle multimediali.
Quindi razionalizzare le informazioni è una tappa essenziale ai fini dell'acquisizione di un'adeguata e corretta comunicazione che è uno dei settori in cui si sta investendo sempre di più anche come funzione integrante dell’attività imprenditoriale, perché sostanzialmente, nella logica di mercato, l’informazione è potere.
La comunicazione deve poter essere sempre considerata come strumento, cioè “quando si comunica non basta riuscire a comunicare, occorre che la comunicazione raggiunga il risultato per il quale è strumento. Il risultato è il metro della comunicazione.” 
Diviene dunque indispensabile comunicare per rendere trasparenti i percorsi decisionali, evidenziare le opportunità, garantire a tutti pari condizioni, “perché ciascuno di noi sia cosciente dei propri diritti e quindi più disponibile ai propri doveri.” 
Una tale comunicazione per radicarsi e svilupparsi nella società civile, deve sapere e potere interagire con quella di mercato, ma soprattutto essere alimentata da una pluralità di soggetti del nostro vivere associato, cioè “deve fare esattamente l’opposto della comunicazione di mercato che non cerca partner ma solo opportunità e clienti.” 
Tuttavia, secondo Luhmann , lo sviluppo di tali mezzi di comunicazione non implica un semplice aumento quantitativo della comunicazione, ma ne modifica anche le modalità. “Il punto su cui una tale modificazione fa leva può essere colto tenendo conto del fatto che la comunicazione presuppone che venga recepita la differenza fra atto del comunicare e informazione. L’esperienza di questa differenza non è necessariamente data come una realtà univoca; può essere anche presente in forma più o meno distinta. Solo così è possibile un’evoluzione graduale verso la creazione, mediante differenziazione, di sistemi (sociali) specificamente comunicativi. E’ in questo punto che i mezzi di comunicazione influiscono sull’evoluzione socio-culturale.” 
Dunque, “la circolazione delle informazioni e l’efficienza dei sistemi di comunicazione diventano essenziali per il rafforzamento del benessere collettivo.” 
La comunicazione è quindi un atto relazionale.
Quando si va alla ricerca di un significato più profondo di comunicazione ci si imbatte nella dimensione dialogica, quindi nel rapporto interpersonale. Secondo Donati infatti, nella società la comunicazione è una dimensione della relazione sociale che si configura come “relazionamento sempre problematico dei seguenti elementi; valori, forme del riferimento fra valori, scopi e mezzi” . Infatti egli sostiene che i processi di comunicazione sono dei nodi cruciali proprio per il “farsi delle relazioni sociali” .
La comunicazione si presenta come prospettiva dinamica del sociale che non può essere disgiunta dai mezzi tecnici che la veicolano, dai valori della cultura cui afferisce il contenuto della comunicazione specifica e quello che è il suo “contesto situazionale”, sostiene Donati.
Non si tratta quindi di una realtà oggettivamente data, ma “si tratta soltanto di cogliere la tipicità della comunicazione nella società come una dimensione della relazione sociale” .
Abbiamo dunque a che fare con una prospettiva completamente desoggetivizzata come rileva Donati, perché il centro dell’analisi è focalizzato sul sistema.
Il riferimento alla relazione che costituisce la premessa, o come la definisce Donati, la precondizione della comunicazione, sparisce all’interno del complesso della rete. Se non c’è rapporto, non può esservi comunicazione e il rapporto è relazione fra i soggetti.
Secondo il noto sociologo occorre definire il concetto di comunicazione secondo una prospettiva che non dissolva la natura del fenomeno e la possibilità di coglierlo da un punto di vista sociologico e dunque ecco l’importanza del paradigma relazionale che propone appunto di studiare il sociale in quanto relazione. 
Sostiene infatti Donati che l’attuale società “è (e diventa) dopo moderna se e nella misura in cui si prende sul serio la originarietà e l’originalità della relazione sociale, la vede e la agisce, collocando la comunicazione dentro la relazione, non già facendo della relazione il sottoprodotto o sovrastruttura della comunicazione” .
A fronte delle nuove tecnologie della comunicazione si pone il problema se sia possibile parlare di una nuova forma di relazione in cui sparisca la dimensione corporea sostituita dal mondo virtuale costruito dalla tecnologia.
E’ la riflessione antropologica a porre l’accento sull’esigenza della nostra società di appartenenza degli individui attraverso la costruzione di nuovi miti come per esempio le comunità virtuali che si formano attraverso Internet. Dunque, accanto a una considerazione puramente “informazionale” della comunicazione intesa come trasmissione dei dati, non si può restare indifferenti al fatto che lo scambio comunicativo produca una serie di fenomeni di ampio raggio e quindi divenga centrale parlare del contesto relazionale entro cui solo è possibile comprendere interamente il significato fondamentale che la comunicazione ha per l’uomo.
Affinché però si possa realmente parlare di comunicazione è necessario che vi sia uno scambio, occorre utilizzare un linguaggio comune, assumere il punto di vista dell’altro, riconoscergli caratteristiche specifiche e reagire al feedback che l’altro invia. E’ dunque necessario controllare il proprio linguaggio in rapporto al comportamento altrui.
La decodifica del messaggio assume un’importanza fondamentale: emittente e ricevente devono poter condividere le stesse competenze relative ai vari livelli che fondano la significazione del messaggio. Dunque sintetizzando, nel caso dell’informazione rileviamo una trasmissione di dati, di informazioni, mentre nel caso della comunicazione uno scambio, una condivisione, tecnicamente definita “feed-back”. E’ proprio a questo proposito che Watzlawick sottolinea come il comportamento non abbia un suo opposto, cioè “non esiste un qualcosa che sia un non-comportamento o, per dirla anche più semplicemente, non è possibile non avere un comportamento. Ora, se si accetta che l’intero comportamento in una situazione di interazione ha valore di messaggio, vale a dire è comunicazione, ne consegue che comunque ci si sforzi, non si può non comunicare.”  
Infatti non si può sostenere che la comunicazione abbia luogo solamente quando è intenzionale, cioè “quando si ha la comprensione reciproca.” 
Secondo Watzlawick dunque, si può postulare un assioma metacomunicazionale della pragmatica della comunicazione e cioè che non si può non comunicare.
Un altro assioma asserisce che ogni comunicazione implica un impegno e dunque definisce la relazione, quindi, una comunicazione trasmette non soltanto informazione, ma al tempo stesso un comportamento.
L’aspetto di notizia di un messaggio trasmette informazione ed è quindi sinonimo nella comunicazione umana del contenuto del messaggio. […] In realtà, sembra che quanto più una relazione è spontanea e sana, tanto più l’aspetto relazionale della comunicazione recede sullo sfondo. Viceversa, le relazioni malate sono caratterizzate da una lotta costante per definire la natura della relazione, mentre l’aspetto di contenuto della comunicazione diventa sempre meno importante.” 
Un osservatore esterno può “considerare una serie di comunicazioni come una sequenza ininterrotta di scambi.” , dunque “la natura di una relazione dipende dalla punteggiatura delle sequenze di comunicazione tra i comunicanti.”  
In riferimento alla comunicazione umana, “Gli esseri umani comunicano sia con il modulo numerico che con quello analogico. Il linguaggio numerico ha una sintassi logica assai complessa e di estrema efficacia ma manca di una semantica adeguata nel settore della relazione, mentre il linguaggio analogico ha la semantica ma non ha alcuna sintassi adeguata per definire in un modo che non sia ambiguo la natura delle relazioni.” 
Infine possiamo sostenere che “tutti gli scambi di comunicazione sono simmetrici o complementari, a seconda che siano basati sull’uguaglianza o sulla differenza.” 
Schatz sostiene che oggi tutto è comunicazione.
Nella civiltà che pensa, organizza e produce in rete, la comunicazione è una dimensione pervasiva, onnipresente, un rullo compressore. E’ quasi una religione.
La più grande offesa che un uomo possa fare al progresso è rinunciare al suo sacrosanto diritto di comunicare”  .
Il compito principale delle organizzazioni e della società è infatti creare dialogo. Attraverso la conversazione i soggetti scoprono ciò che sanno, lo condividono con i colleghi e in questo processo generano nuova conoscenza per l’organizzazione. La metodologia con la quale conversiamo è divenuta “il modo principale attraverso il quale apprendiamo, creiamo e gestiamo ciò che conosciamo” .
Come ha scritto Alan Webber, editore della Harvard Business Review, “la conversazione è il modo attraverso il quale le persone condividono e spesso creano ciò che conoscono, perciò il lavoro più importante della nuova economia è quello di creare conversazione”.
La capacità di comunicare si sta sempre più affermando come una delle principali competenze sia all’interno che all’esterno delle organizzazioni.
Proprio all’interno di tali organizzazioni si ridisegna dunque il ruolo del manager e cioè quello di “creare ambienti ed opportunità affinché le persone generino conversazioni produttive ed utili” .
E’ necessario dunque costruire un nuovo modo di comunicare creando un clima in cui le persone si sentano libere di confrontarsi su ciò che realmente sentono e pensano.
E’ il linguaggio dunque che consente all’uomo di comunicare, descrivere e parlare di cose esistenti, di avvenimenti passati, come pure di inventare, creare e analizzare cose non ancora esistenti. “La prima regola della comunicazione sostiene che noi possiamo cambiare il nostro comportamento comunicativo nei confronti degli altri, ma non possiamo chiedere agli altri di cambiare” .
Ogni comunicante è normalmente membro di un sistema esteso di comunicazione in un contesto che funge da ambito del gioco relazionale. “Gli individui costruiscono la realtà circostante attraverso un’attività cognitiva che è il frutto di processi collettivi a cui anche l’individuo partecipa in quanto membro di quei gruppi sociali” .
Nel comunicare dobbiamo comunque coordinarci con gli altri, il problema diventa quanto e in che modo comunichiamo, è quasi come se prima di mettere in atto la comunicazione tra due persone, queste dovessero trovare un tacito accordo reciproco. Solo in questo modo sarà quindi possibile uno scambio di informazioni attraverso il linguaggio.
L’esito finale del processo comunicativo non è quindi legato ai singoli sistemi di rappresentazione e di credenze, ma come a questi si coordinano nell’interazione. I partecipanti alla comunicazione hanno un ruolo attivo nel costruire il percorso che si snoderà come effetto delle loro interazioni.
L’aspetto importante in un processo di comunicazione è dato esclusivamente da ciò che l’interlocutore comprende, interpreta in modo da rispondere alle nostre richieste, ai nostri impulsi” .
Ogni comunicazione avviene tra un emittente e un ricevente: l’emittente codifica un messaggio attraverso un canale e il messaggio viene ricevuto da un ricevente. Il messaggio viene quindi reso attraverso l’utilizzo di uno o più codici.
Pertanto, “una singola unità di comunicazione sarà chiamata messaggio, oppure, dove non si presentano possibilità di confusione, una comunicazione. Una serie di messaggi scambiati tra persone sarà definita interazione.” 
Ogni comunicazione avviene sempre all’interno di un contesto, nessun elemento del messaggio può essere decodificato esattamente fuori dal suo contesto.
Il contesto si articola in varie componenti.
Una fondamentale è rappresentata dalla strutturazione del discorso che comprende da un lato la situazione fisica (per esempio l’ambiente fisico/virtuale), dall’altro i due interlocutori della comunicazione (cioè emittente e ricevente) e le loro caratteristiche su relativi piani sociale, economico, culturale e psicologico.
Ogni comunicazione inoltre, si caratterizza per il grado di formalità e per la direzionalità con cui si realizza.
Per quanto riguarda il grado di formalità abbiamo naturalmente “l’estremo della comunicazione formale, per esempio tra due persone che non si conoscono, oppure che hanno un rapporto di ruolo altamente formalizzato come tra un direttore e un suo dipendente in una grande azienda e abbiamo l’altro estremo, quello della comunicazione informale, come per esempio tra amici o familiari” .
Anche il canale usato per la trasmissione del messaggio determina la natura della comunicazione per intero e cioè i singoli mezzi usati per la codifica del messaggio, cioè il codice in cui il messaggio viene trasmesso.
Viviamo in quella che Luciano Gallino ha definito la E-society, dove si accumulano le novità, dove la telematica sta cambiando il modo organizzare il proprio lavoro, di interagire con le persone, di viaggiare in spazi e tempi virtuali.
Questa considerazione di Gallino è quanto mai significativa e centrale e al passo con i tempi se consideriamo quanto larga parte della nostra vita professionale, ma anche e soprattutto privata passi attraverso quelle che una decina di anni fa avremmo chiamato comunità virtuali e che oggi codifichiamo come Social Network.



venerdì 12 luglio 2013

Totalitarismo, non solo politico...





Il termine totalitarismo non si applica soltanto ad una organizzazione politica, ma anche ed in modo particolare ad una organizzazione economico-tecnica che opera mediante la manipolazione dei bisogni da parte di interessi costituiti.
Questa preclude ab origine, l'emergere di una opposizione efficace contro l'insieme del sistema anche per quanto concerne la libertà interiore dell'uomo, ossia quello spazio privato in cui ognuno di noi può diventare e definire realmente se stesso.
Purtroppo oggi questo spazio è stato invaso dalla realtà tecnologica che reclama l'individuo in toto esclusivamente per sè.
Il risultato di ciò non è tanto un adattamento, quanto piuttosto una mimesi, cioè una identificazione immediata dell'individuo con la società stessa e va da sè che ogni dimensione interiore è così dissolta. E la non libertà che resta è solo una libertà al negativo. Questa libertà negativa, ossia l'essere liberi da qualcosa e non per qualcosa, ci prepara a convivere in maniera stabile con un'incertezza di fondo, in condizioni minate da una insicurezza refrattaria a qualunque tentativo di ridurla.
I mezzi di sostentamento, la posizione sociale, il riconoscimento della propria utilità e dignità, possono venire bruscamente disdetti da un momento all'altro. Ciò vale anche e soprattutto per le relazioni interpersonali, oggi impregnate dello stesso spirito consumista che assegna al partner solo il ruolo di potenziale fonte di piacere, perciò i legami stessi sono considerati da ambo le parti a scadenza, cioè legami che possono essere ricontrattati su richiesta da una delle parti in causa, non garantendo perciò diritti acquisiti e non creando obblighi per il periodo successivo alla loro disdetta. In questo scenario di grande indeterminatezza laddove i legami si riducono ad una serie di incontri ed interazioni, le storie di vita sono un insieme di episodi fine a loro stessi e l'identità diviene una collezione di maschere indossate volta per volta, viene a cadere anche l'opposizione tra realtà e simulazione e tra norma ed anomalia. In questa libertà senza radici la nuda volontà di vivere, quella animale per intenderci, trionfa sui simboli della civiltà, simboli in disuso che non vengono più nè compresi, nè tollerati dalla massa cosmopolita che dimora nelle città. Questa infatti respinge tutto ciò che è civiltà, tutte le forme che ad una civiltà sono congenite. E l'assolutamente informe si sostanzia e perseguita ogni residuo di forma stessa, dalla proprietà ordinata al sapere organizzato, alle relazioni interpersonali stesse, come abbiamo esaminato più sopra, è il nuovo nomadismo delle cosmopoli globalizzate che non riconosce nè un passato, nè ovviamente, può possedere alcun futuro. Con ciò la globalizzazione diviene l'espressione della storia che trapassa nella non storia e che ha nel cesarismo l'apice e la forma suprema di realtà politica.

lunedì 8 luglio 2013

Dalla comunicazione di massa al caso DATAGATE





In linguistica, con il termine comunicazione si intende la trasmissione di informazioni mediante messaggi da un emittente ad un ricevente.
L’informazione costituisce pertanto l’unità base della comunicazione, nel senso che tutto ciò che appartiene alla comunicazione è informazione. Lo stesso termine, un tempo generico e difficilmente definibile, ormai risulta, grazie alla cibernetica, scientificamente quantificabile.
Quale sia l’energia o il dato che circolano in un sistema di comunicazione, essi sono anzitutto informazione. Una volta stabilita l’importanza del concetto di informazione per le attività umane, la capacità di controllo del mondo esterno diviene punto di riferimento al tempo stesso costante e variabile, cioè programmabile.”
La nostra cultura dipende pertanto da un utilizzo sempre più ampio di informazioni preraccolte; in tal senso l’accesso a informazioni particolari è una forma di feedback che può risultare equivalente ai privilegi del potere economico, politico, militare.”
Dunque, “la circolazione delle informazioni e l’efficienza dei sistemi di comunicazione diventano essenziali per il rafforzamento del benessere collettivo.”
Secondo Habermas, esistono due forme di comunicazione, quella dell’agire comunicativo, che è di per sé interazione, e quella del discorso.
Nel primo caso, la validità delle connessioni di senso è presupposta in modo “ingenuo” per scambiare informazioni, mentre nel secondo caso, le pretese problematizzate di validità diventano “tema”, ma non si scambiano informazioni. Nei discorsi si cerca di  ristabilire mediante motivazioni, argomentazioni, un accordo problematizzato già confermato nell’agire comunicativo, in questo senso Habermas parla di “intesa discorsiva” .
Lo scopo dell’intesa è il superamento di una situazione sorta attraverso la problematizzazione delle pretese di validità supposte nell’agire comunicativo. La sua attenzione verso la sociologia e la linguistica si è riversata in una teoria dell'agire comunicativo che sostiene la possibilità di fondare una verità consensuale, costruita sulla base di un "discorso" razionale e critico, in netto contrasto tanto con le tesi del postmodernismo quanto con il riduzionismo positivista. L’intesa secondo Habermas deve portare ad un accordo sviluppato razionalmente e coerentemente, sebbene “anche una pretesa di validità discorsivamente motivata riacquista il modo di validità “ingenuo”, non appena il risultato del discorso, per parte sua, si integra in contesti di azione. In questo senso, ogni senso è considerato “ingenuo”, finché le pretese di validità implicite non vengono tematizzate, cioè rese oggetto di un discorso” .
Il discorso è funzionale alla motivazione delle pretese di validità problematizzate di opinioni e norme. L’informazione costituisce pertanto uno di quegli elementi del vivere politico strettamente connessi con il potere: per conquistare e mantenere il potere, per partecipare al potere, per difendersi dal potere e mantenerlo sotto controllo, a seconda dello status che si ricopre e del ruolo che si assolve.
L’informazione è dunque considerata come il dominio dell’agire sociale.
La tecnologia utilizzata è il filo che porta a costruire il nodo chiamato comunicazione. L’informazione è quindi tutto ciò che concorre a rendere socialmente utilizzabile sia il filo che il nodo.
Qualsiasi studio sui rapporti tra i media e le fonti riguarda le relazioni tra i mezzi di informazione e il potere ideologico-politico.
E’ evidente che i mezzi di comunicazione hanno un valore e un costo economico, sono un oggetto di competizione per il controllo e l’accesso e sono soggetti a regolamentazioni di tipo politico, economico e legale.
In secondo luogo i mass media sono comunemente considerati come un efficace strumento di potere sulla base della loro capacità di attirare e dirigere l’attenzione, di esercitare una persuasione in materia di opinioni e pareri, influenzare il comportamento, conferire status e legittimazione e definire e strutturare la percezione della realtà.


Appare evidente la stringenza di questa visione con la realtà politica ed economica dei tempi che viviamo.
Senza cadere in facili banalismi, basse retoriche populiste di cui il nostro comune vivere politico quotidiano è sufficientemente ricco, non si può prescindere dalla considerazione di come e quanto buona parte dell’informazione soprattutto della stampa sia, non voglio dire politicizzata o strumentalmente orientata, ma indirizzata politicamente o canalizzata verso lobbies di parte come anche sottolineato dal precedente articolo di Simone Salandra.


Fino a qualche tempo fa si è sempre ritenuto che Internet potesse essere una sorta di zona franca, libera da tali condizionamenti. E' sicuramente ancora così, ma quello che mi chiedo, ancora per quanto?
Questa sorta di certezza granitica che il sottoscritto aveva fino a qualche anno fa, non è più tale.
Certi spazi, anche sulla Rete iniziano ad essere invasi anche da interessi politici o lobbies di parte atti ad orientare e canalizzare l’attenzione della massa. Intendiamoci, è legittimo tutto questo, né credo che l’ingerenza avuta sulla stampa e sulla televisione e su un certo tipo di informazione stampata e televisiva sia altrettanto facilmente replicabile anche sulla Rete, sebbene qualcosa in questo senso si stia muovendo.
La mia speranza è che la vera coscienza critica di questo Paese, ma in generale della massa non venga o non si lasci oscurare da certi interessi di parte e che la Rete in questo senso possa continuare ad avere il suo ruolo di imparzialità, di libero accesso, di trasversalità a 360°.
La sociologia che studia il management dell’informazione, non può non tenere conto di quello che la sociologia del giornalismo può dire in relazione alla natura del potere delle fonti . Il problema sta nel fatto che l’accesso ai media è concesso solo ad alcune fonti come ben sappiamo. La struttura di accesso ai media assicura vantaggi strategici ai “portavoce”  e non solo all’inizio, ma per tutto il periodo in cui il dibattito resta aperto.
Già nel 1978, durante il Convegno “Informazione e potere in Italia” promosso dalla Sezione Informazione e Cultura della direzione del Partito Socialista Italiano e dal Club Turati di Milano, Claudio Martelli sosteneva che “un’informazione diffusa, pluralistica, colta e popolare all’altezza di una società industriale moderna è ciò che dobbiamo costruire. Anche qui la politica di unità nazionale si misura con un’emergenza. Anche per l’informazione occorre una carta di principi, una Costituzione che determini regole e criteri. Nessuno può pensare di dettare le regole da solo, ma questo non esime ciascuno dal dovere di compiere delle scelte e di avanzare delle proposte. Se la lotta politica non si separa dal coraggio civile e dall’onestà intellettuale, tutti abbiamo da guadagnarne in questo paese. Anche per il mondo dell’informazione vale il motto del rinnovamento socialista: uscire dalla crisi, costruire il futuro” .
L’informazione dovrebbe svolgere (il condizionale mi pare d’obbligo) nei confronti del potere una prima funzione di controllo e quindi di limitazione.
E’ necessario pertanto imporre a tutti i mezzi di informazione la regola della trasparenza e un relativo intervento legislativo.
Forse è proprio questa mancanza che ci induce a parlare, anche oggi di crisi della comunicazione, crisi però non definitiva e irrimediabile, più probabilmente per indicare una fase critica di transizione.
Uno dei nodi maggiormente critici della questione è che forse informazione e tecnologia non hanno conosciuto un’evoluzione eguale, nel senso che mentre la tecnologia mostra tutte le sue potenzialità, la ricchezza delle informazioni non cresce di pari passo rappresentando spesso singole porzioni della società a svantaggio della ricerca della verità e della completezza dell’informazione stessa.
E’ necessario tenere conto dell’esistenza di possibili e probabili conflitti tra fonti ufficiali che possono influenzare la copertura informativa di determinati argomenti e delle differenze che esistono tra le stesse fonti accreditate.
L’aspetto centrale nel panorama ICT, specie a partire dalla fine degli anni ’90 è stata la diffusione di Internet come ben sappiamo e la conseguente crescita del traffico dei dati, sebbene in Italia il fenomeno della diffusione di Internet si sia verificato con un ritardo che si può stimare in circa tre anni rispetto agli USA.
Uno degli effetti più evidenti di Internet sul sistema di TLC è di aver incrementato sensibilmente il traffico di dati.
Il mercato dei prodotti e dei servizi multimediali basati su formati digitali ha raggiunto nel corso degli ultimi anni proporzioni considerevoli, dimostrandosi una realtà economica sempre più interessante e non solo sperimentale come poteva apparire agli inizi degli anni Novanta.
Lo sviluppo dei mercati digitali ha consentito al mercato multimediale di divenire una sorta di grande centro evolutivo dell’industria della comunicazione.
L’affermazione di Internet e la diffusione dell’Word Wide Web, hanno fortemente rivoluzionato il mercato telematico, imprimendo anche una spinta evolutiva ad altre industrie della comunicazione: dall’elettronica di consumo alla telefonia mobile, dall’editoria alla telefonia fissa. La creazione di un unico formato di produzione e distribuzione così efficace e diffuso per la gestione dei servizi multimediali e interattivi costituisce una sorta di motore evolutivo che sta determinando un profondo cambiamento dell’industria dei servizi.
Negli ultimi anni, i settori dell’informazione e della comunicazione sono stati interessati da numerosi cambiamenti nelle istituzioni, nelle tecnologie e nei mercati. In particolare, un elemento estremamente importante per il settore degli operatori delle telecomunicazioni è stato l’emergere del nuovo business del multimediale.
E’ il progresso tecnologico che ha reso possibile una nuova forma di comunicazione, quella di massa.
Essa è rivolta a pubblici relativamente vasti ed eterogenei i cui componenti siano anonimi nei riguardi del comunicatore. Il termine “pubblico di massa”, implica appunto quelle qualità di vastità, eterogeneità, anonimato, ma nell’uso comune, pubblico di massa indica quell’uditorio che abbia tutte quelle caratteristiche sociologiche proprie di uno speciale tipo di collettività umana, quale appunto la massa.


Nella loro collettività anonima i partecipanti sono separati nello spazio e nel tempo, costituiscono un insieme variabile di persone di ogni età, professione, grado di istruzione, accomunate unicamente dalla funzione del leggere e dalla ricezione visiva ed uditiva delle trasmissioni dei media.
Questo fenomeno di globalizzazione del ventesimo secolo è stato guidato essenzialmente dalle attività dei conglomerati della comunicazione, la cui evoluzione ha portato alla formazione di grandi concentrazioni di potere economico e simbolico mal distribuite e controllate da soggetti privati in grado di mobilitare enormi risorse e perseguire i loro obiettivi aziendali nell’area globale, ma ha condotto anche alla formazione di ampie rete di comunicazione attraverso le quali si diffondono in tutto il mondo informazioni e contenuti simbolici.
Inoltre lo sviluppo delle nuove tecnologie ha avuto un ruolo centrale nella globalizzazione delle comunicazioni dalla fine del ventesimo secolo.
Basti pensare alla produzione di reti via cavo sempre più complesse ed efficaci, in grado di trasmettere una grande quantità e varietà di informazioni.
Ricordiamo anche la crescente utilizzazione di satelliti per la comunicazione e ancora il crescente sfruttamento delle tecniche digitali per elaborare, immagazzinare e reperire le informazioni.
Una conseguenza importante della globalizzazione delle comunicazioni è che i prodotti dei media circolano entro un’area internazionale, mondiale. Però, oltre alle caratteristiche del flusso internazionale è importante focalizzarsi anche sui modelli di accesso alle reti globali e il tipo di comprensione dei messaggi trasmessi e l’uso che ne viene fatto.
E’ fin troppo facile non dedicarsi ad una piccola riflessione che è sotto gli occhi di tutti gli osservatori nelle ultime settimane sul tema delle intercettazioni su scala internazionale: il caso DATAGATE.



Secondo Der Spiegel, l’Europa sarebbe stata controllata dalla Nsa che avrebbe intercettato una media di 20 milioni di telefonate al giorno e 10 milioni di dati internet.
Non solo.
A Bruxelles sarebbero stati controllati il palazzo sede della Commissione Europea, il Consiglio d’Europa e vertice UE e l’Europarlamento.
Sembra inoltre, stando alle ricostruzioni fornite dall’ex tenente della Marina Usa, Wayne Madsen che i principali paesi europei avessero accordi con gli Usa per consegnare alla centrale di spionaggio americana tutti i dati raccolti dalle compagnie telefoniche e i dati relativi a Internet. Gli accordi sembra che risalissero al tempo della Guerra Fredda, ma secondo Madsen l’attività è diventata sempre più invasiva con lo sviluppo tecnologico con il beneplacito dell’UE.
Sostiene Viviane Reding, Vice Presidente della Commissione UE:” I partner non si spiano l’uno con l’altro. Non possiamo negoziare un grande mercato transatlantico se c’è anche il minimo dubbio che i nostri partner fanno attività di spionaggio negli uffici dei nostri negoziatori”.



E’ evidente quanto la situazione sia macro-politica e questa situazione renda particolarmente complessa e sensibile la questione circa i rapporti politici-diplomatici tra USA e UE.
Sottolinea il Prof. Giuseppe De Lutiis (uno dei più noti storici dei servizi segreti del nostro Paese) come e quanto “le intercettazioni sono spesso usate dai governi per orientare in senso gradito la politica di governi che facevano parte della loro sfera di influenza.”
Non solo e a maggior ragione sostiene e mi sento di condividere a pieno titolo quanto “… con le nuove tecnologie, con i cavi a fibre ottiche che connettono i continenti e con i satelliti, le possibilità si sono moltiplicate di un fattore 1000. Si può intercettare senza neppure spostarsi dalla sede del servizio, se si hanno le tecnologie giuste. Fare vere intercettazioni di massa che scattano automaticamente quando l’interlocutore pronuncia una serie di parole sensibili.”
Conclude il Prof. De Lutiis ritenendo che l’unica forma di difesa e tutela dei cittadini è un severo controllo parlamentare. “…regole nette per i capi dei servizi. E poi devono ringraziare Wikileaks che rappresenta l’unica forma di autotutela contro l’abuso di questi superpoteri. Wikileaks, e tutte le altre gole profonde sono un’efficace forma di controguerriglia da parte dei cittadini perché, esponendo i servizi al rischio che la loro attività illecita venga svelata, possono indurli ad una certa cautela”.



E’ evidente al di là delle rassicurazioni da parte dell’amministrazione statunitense e all’attiva collaborazione manifestata che ormai “il dado è tratto”.
Non solo in Europa, ma negli stessi Stati Uniti lo sdegno è a livelli altissimi.
Solo pochi giorni fa, La Stampa, pubblicava un interessante articolo, proprio su quest’ultimo aspetto, segnalando come a dimostrazione di quanto sostenuto, “StopWatching.us , un sito web creato tre settimane fa, ha già raccolto più di 531 mila firme di persone che si oppongono ai programmi di sorveglianza della NSA. Cusack, anche membro del consiglio della Freedom Press Foundation, lamentava che molti difensori dei programmi di sorveglianza della NSA si stanno concentrando su presunte anomalie personali e caratteriali di Snowden e dei giornalisti, invece che sulla sorveglianza stessa e sui problemi riguardanti la sua legalità.
Sarebbe quanto meno opportuno ricordare come ai sensi del titolo II della LIBERTA’, art. 8, co1,2 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea che “ogni persona ha diritto alla protezione dei dati di carattere personale che la riguardano. Tali dati devono essere trattati secondo il principio di lealtà, per finalità determinate e in base al consenso della persona interessata o a un altro fondamento legittimo previsto dalla legge. Ogni persona ha il diritto di accedere ai dati raccolti che la riguardano e di ottenerne la rettifica.”
La stessa Convenzione Americana sui Diritti Umani (1969), all’art.11 , co1,2 disponeva che ”ognuno ha diritto al rispetto del proprio onore e al riconoscimento della propria dignità e che nessuno può essere oggetto ad interferenze arbitrarie o abusive nella sua vita privata, nella sua famiglia, nel domicilio, o nella sua corrispondenza, o ad attacchi al suo onore o alla sua reputazione”.
Non solo.
La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani approvata e proclamata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, all’art. 12 dispone che “nessun individuo potrà essere sottoposto ad interferenze arbitrarie nella sua vita privata, nella sua famiglia, nella sua casa, nella sua corrispondenza, né a lesione del suo onore e della sua reputazione. Ogni individuo ha diritto ad essere tutelato dalla legge contro tali interferenze o lesioni.
Se arriviamo al punto in cui un’amministrazione di uno dei Paesi più potenti, importanti ed influenti del mondo si arroga il diritto/dovere di sospendere l’efficacia di tali principi di valore assoluto o solo di pensare di metterli in secondo piano, siamo ben oltre l’imbarbarimento dei costumi.





giovedì 4 luglio 2013

Il Basso Impero






Il termine della democrazia ed il trapasso da questa al cesarismo si manifesta con lo scomparire del partito come forma politica. Il partito politico oggi è essenzialmente una raccolta di teste, per cui se da un lato è superiore alle vecchie caste della tradizione ed anche al suo omonimo in forma classica, in quanto a spirito di appartenenza, è però loro inferiore in quanto ad istinto. Il partito oggi, tra il limbo di repubbliche che numerar si voglia, è un nemico acerrimo di ogni vera articolazione sociale ed infatti il suo concetto si slega da quello di una presunta uguaglianza teorica ed all'interno di esso si riconoscono non tanto interessi di casta, quanto interessi meramente professionali. Infatti gli ideali astratti e le finalità alla base di ogni vera politica di partito svaniscono e il loro posto è colmato da una politica privata, esercitata da poche personalità capaci di essere mera espressione di lobbies economiche, anche le più disparate. Se infatti una casta ha degli istinti e se, un partito classico nella sua forma si raccoglieva intorno ad un programma, queste lobbies sono fazioni ed ogni fazione ha solo un capo. Come abbiamo avuto modo di osservare, nel momento in cui una assemblea parlamentare si costituisce, si formano subito unità tattiche la cui coesione si fonda sulla volontà di conservare la posizione dominante appena conquistata, unità che, siano esse partiti o movimenti beninteso, non si considerano più i portavoce dei loro elettori, ma che invece volgono a fare dei loro elettori i docili strumenti dei propri fini.
Quindi anche un movimento organizzato apparentemente dal basso, diviene con ciò stesso uno strumento della corrispondente organizzazione e le cose procedono in tal senso fino a quando l'organizzazione stessa diviene a tutti gli effetti lo strumento di una lobbie. D'altronde il potere in sè stesso è più forte di ogni teoria. Inizialmente il complesso direttivo ed organizzativo si giustifica con un programma, poi il programma viene difeso solo da coloro ai quali serve in vista di un esercizio di potere puro e semplice (migliaia di persone vivono delle cariche e degli stipendi che i partiti distribuiscono) ed infine ci si dimentica del programma e l'organizzazione vive e prospera solo per sè stessa. E' ovvio che una volta che un tale gruppo esiste, le elezioni hanno il solo significato di una censura esercitata dalla massa volta per volta, sulle singole organizzazioni, sulla formazione delle quali essa però finisce con il non avere più influenza alcuna. E con ciò stesso, il diritto fondamentale delle nostre costituzioni, quello della massa libera di eleggere i propri rappresentanti, resta lettera morta perchè nella realtà ogni organizzazione sufficientemente sviluppata si dà da sè stessa i propri leader. E lo stesso suffragio universale non da alcun diritto e garanzia reale, nemmeno quello di scegliere, se anche fosse possibile, tra due soli partiti, perchè le lobbies che prendono forma proprio in base ad esso vanno a controllare mediante il potere economico tutti gli strumenti intellettuali offerti, dalla carta stampata alle tv (in parte ancora ai social network, ma su questo avremo occasione di ritornarvi) tanto da veicolare a loro piacimento l'opinione delle singole persone sui partiti, mentre le lobbies disponendo di cariche, influenze e normative ad hoc, educano un gruppo a loro completa disposizione, il quale gruppo soppianta tutti gli altri facendoli cadere in una inerzia elettorale tale che, alla fine, non può venire più superata nemmeno nelle crisi più gravi. Tuttavia sarebbe errato parlare tanto di decadenza quanto di degenerazione dei costumi, è invece, a nostro avviso, lo stesso costume delle democrazie mature che per una necessità interna assume queste forme. I partiti divengono quindi il docile seguito di pochi individui con i quali si preannuncia il cesarismo proprio al basso impero, i parlamenti diventano istituzioni tanto solenni quanto vuote ed i diritti della massa vengono presentati con un grande apparato e sono tutelati tanto scrupolosamente quanto sempre meno significano ancora qualcosa. L'economia tramite i partiti, oramai espressioni pure e semplici di gruppi di potere, organizza il corso dell'attività parlamentare nell'interesse di coloro di cui questi sono l'espressione ed il fatto elettivo non è altro che un gioco concordato presentato come espressione della volontà popolare.



lunedì 1 luglio 2013

La comunicazione ai tempi dei Social Network




Sostiene Donati (noto sociologo relazionista) che l’attuale società “è (e diventa) dopo moderna se e nella misura in cui si prende sul serio la originarietà e l’originalità della relazione sociale, la vede e la agisce, collocando la comunicazione dentro la relazione, non già facendo della relazione il sottoprodotto o sovrastruttura della comunicazione” .
Entrano così in gioco nella situazione comunicativa una serie di elementi relativi sia ai soggetti coinvolti che al contesto.
Ad esempio, la riflessione filosofica lega la comunicazione alla natura stessa dell’uomo, al suo bisogno di “relazionarsi” che nasce dall’esigenza di superare il proprio io. Quindi la possibilità del singolo di ampliare il proprio orizzonte passa attraverso il rapporto comunicativo, dunque l’attività del comunicare costituisce il  proprio progetto di vita.
Però a fronte delle nuove tecnologie della comunicazione si pone il problema se sia possibile parlare di una nuova forma di relazione in cui sparisca la dimensione corporea sostituita dal mondo virtuale costruito dalla tecnologia.
Si tratta di un quesito posto da oltre un decennio, ma che l’attuale evoluzione delle cosiddette comunità virtuali di cui i “social network” rappresentano l’ultima frontiera, farebbero propendere per una risposta affermativa.
E’ la riflessione antropologica a porre l’accento sull’esigenza della nostra società di appartenenza degli individui attraverso la costruzione di nuovi miti come per esempio le comunità virtuali che si formano attraverso Internet. Dunque, accanto a una considerazione puramente “informazionale” della comunicazione intesa come trasmissione dei dati, non si può restare indifferenti al fatto che lo scambio comunicativo produca una serie di fenomeni di ampio raggio e quindi divenga centrale parlare del contesto relazionale entro cui solo è possibile comprendere interamente il significato fondamentale che la comunicazione ha per l’uomo.
E’ stato McLuhan per primo a parlare di villaggio globale come un nuovo ambiente caratterizzato dall’ossessione comunicativa, dalla necessità di essere in contatto perennemente con l’enorme quantità di informazioni disponibili. Quindi “grazie ai mezzi di comunicazione moderni, che consentono di congiungere tra loro in tempo reale i punti più lontani del pianeta, il mondo si è rimpicciolito al punto da poter essere paragonato a un villaggio”.




Però McLuhan va oltre, affermando che “il villaggio globale non nasce semplicemente da una crescita tecnica, ma è frutto di un processo rivoluzionario, quello che ha portato a un’esplosione dell’umanità occidentale che ha imposto il suo dominio a tutta la Terra.
I media elettronici soprattutto, con la nascita della televisione e con lo sviluppo dell’informatica stanno condizionando questo processo e rovesciandolo nel suo contrario: un’implosione che comporta un riavvicinamento tra le culture un tempo lontane e un ritorno a forme e abitudini orali apparentemente superate dallo sviluppo dell’alfabetizzazione” .




Con il progredire degli studi sui media si è in seguito registrato un incremento delle indagini finalizzate alla comprensione dei linguaggi e delle forme utilizzate dai mass media.
McLuhan sosteneva che “tutti i media sono metafore attive in quanto hanno il potere di tradurre l’esperienza in forme nuove. La parola parlata è stata la prima tecnologia grazie alla quale l’uomo ha potuto lasciare andare il suo ambiente per afferrarlo in modo nuovo. Le parole sono una forma di ricupero d’informazione che può estendersi a grande velocità alla totalità dell’ambiente e dell’esperienza. Sono complessi sistemi di metafore e simboli che traducono l’esperienza nei nostri sensi. Sono una tecnologia della chiarezza. Grazie alla traduzione in simboli vocali dell’immediata esperienza sensoriale, è possibile evocare e ricuperare in ogni istante il mondo intero.”  
Nell’era che McLuhan definiva “elettrica”  entriamo in contatto sempre più profondamente nella forma dell’informazione e avanziamo verso l’estensione tecnologica della conoscenza, cioè “siamo in grado di tradurci sempre più in altre forme espressive che sono al di là di noi. L’uomo è una forma di espressione dalla quale ci si aspetta per tradizione che ripeta se stessa ed echeggi l’elogio del suo creatore. L’uomo, con la traduzione verbale, ha il potere di riverberare il tuono divino.” 
Secondo McLuhan, “così come in fisica e in chimica, quando aumentano i livelli di informazione, è possibile usare combustibile, tessuto o materiale edilizio, così con la tecnologia elettrica tutti gli oggetti solidi possono divenire concreti beni di consumo grazie a quei circuiti d’informazione inseriti negli schemi organici che noi chiamiamo “automazione” e ricupero d’informazione. Nel regime della tecnologia elettrica il compito dell’uomo diventa quello di imparare e di sapere.” 
Se pensiamo al fatto che tali riflessioni del sociologo canadese risalgono al 1968, capiamo quanto queste previsioni fossero centrate nella misura in cui il mezzo tecnologico determina i caratteri strutturali della comunicazione, producendo effetti pervasivi sull’immaginario collettivo, indipendentemente dai contenuti dell’informazione di volta in volta veicolata, per cui come sosteneva McLuhan “il medium è messaggio”.
Pensiamo solo a come Internet ha rivoluzionato tutto ciò teorizzato dal sociologo più di 40 anni fa e con tutte le tappe evolutive che hanno segnato il processo e il divenire delle varie comunità virtuali, inizialmente chat e forum per poi passare ai vari servizi di “instant messagging”, fino all’ultima frontiera costituita dai social network (in primis facebook e twitter, ma non solo) che ci fanno vedere quanto queste nuove forme relazionali siano invasive e pervasive sull’immaginario collettivo.




Nel tempo, la tecnologia delle telecomunicazioni e quella dei personal computer, sotto la spinta dell’evoluzione delle tecnologie elettroniche, tendono a convergere verso un unico filone tecnologico che è quello della telematica che non è altro che  il risultato della sinergia tra le tecnologie di trasporto delle informazioni e le loro tecniche di trattamento.
Pensiamo solamente al livello di integrazione anche tra i vari social network e le varie tipologie di applicazioni informatiche condivisibili anche a livello di dispositivi mobili.





Ormai il livello di penetrazione di sviluppo tecnologico applicato alla telematica è tale da aver prodotto una rivoluzione prima di tutto culturale negli individui e nella loro vita sociale e associativa, pari se non superiore a quella rivestita anni fa dalla televisione e dai primi elettrodomestici.
Ormai la questione circa la connettività e la reperibilità in tempo reale affianca la vita di ogni individuo.





Quasi tutti abbiamo ormai la possibilità di essere sempre connessi e contattabili anche on line: pc, cellulari, dispositivi mobili, smart TV.





Solo fino a pochi anni fa la questione sociologica che mi ponevo era sul dilemma, sul rapporto/antitesi tra virtuale e reale e su quali implicazioni reali e possibilità di intervento concreto abbia la possibilità di conoscere situazioni anche molto lontane da noi.
Quello che mi domando negli ultimi anni, anche alla luce dello sviluppo dei vari social network e di una connettività sempre disponibile a 360°, per cui ognuno di noi è sempre connesso e reperibile e interattivo, è se tutto ciò può contribuire ad una nuova forma di umanità e/o socialità, o se può rappresentare una graduale perdita di umanità/socialità in queste nuove forme di relazione sociale nella dissoluzione con il vivere reale e con la tradizionali forme di relazione.