lunedì 8 luglio 2013

Dalla comunicazione di massa al caso DATAGATE





In linguistica, con il termine comunicazione si intende la trasmissione di informazioni mediante messaggi da un emittente ad un ricevente.
L’informazione costituisce pertanto l’unità base della comunicazione, nel senso che tutto ciò che appartiene alla comunicazione è informazione. Lo stesso termine, un tempo generico e difficilmente definibile, ormai risulta, grazie alla cibernetica, scientificamente quantificabile.
Quale sia l’energia o il dato che circolano in un sistema di comunicazione, essi sono anzitutto informazione. Una volta stabilita l’importanza del concetto di informazione per le attività umane, la capacità di controllo del mondo esterno diviene punto di riferimento al tempo stesso costante e variabile, cioè programmabile.”
La nostra cultura dipende pertanto da un utilizzo sempre più ampio di informazioni preraccolte; in tal senso l’accesso a informazioni particolari è una forma di feedback che può risultare equivalente ai privilegi del potere economico, politico, militare.”
Dunque, “la circolazione delle informazioni e l’efficienza dei sistemi di comunicazione diventano essenziali per il rafforzamento del benessere collettivo.”
Secondo Habermas, esistono due forme di comunicazione, quella dell’agire comunicativo, che è di per sé interazione, e quella del discorso.
Nel primo caso, la validità delle connessioni di senso è presupposta in modo “ingenuo” per scambiare informazioni, mentre nel secondo caso, le pretese problematizzate di validità diventano “tema”, ma non si scambiano informazioni. Nei discorsi si cerca di  ristabilire mediante motivazioni, argomentazioni, un accordo problematizzato già confermato nell’agire comunicativo, in questo senso Habermas parla di “intesa discorsiva” .
Lo scopo dell’intesa è il superamento di una situazione sorta attraverso la problematizzazione delle pretese di validità supposte nell’agire comunicativo. La sua attenzione verso la sociologia e la linguistica si è riversata in una teoria dell'agire comunicativo che sostiene la possibilità di fondare una verità consensuale, costruita sulla base di un "discorso" razionale e critico, in netto contrasto tanto con le tesi del postmodernismo quanto con il riduzionismo positivista. L’intesa secondo Habermas deve portare ad un accordo sviluppato razionalmente e coerentemente, sebbene “anche una pretesa di validità discorsivamente motivata riacquista il modo di validità “ingenuo”, non appena il risultato del discorso, per parte sua, si integra in contesti di azione. In questo senso, ogni senso è considerato “ingenuo”, finché le pretese di validità implicite non vengono tematizzate, cioè rese oggetto di un discorso” .
Il discorso è funzionale alla motivazione delle pretese di validità problematizzate di opinioni e norme. L’informazione costituisce pertanto uno di quegli elementi del vivere politico strettamente connessi con il potere: per conquistare e mantenere il potere, per partecipare al potere, per difendersi dal potere e mantenerlo sotto controllo, a seconda dello status che si ricopre e del ruolo che si assolve.
L’informazione è dunque considerata come il dominio dell’agire sociale.
La tecnologia utilizzata è il filo che porta a costruire il nodo chiamato comunicazione. L’informazione è quindi tutto ciò che concorre a rendere socialmente utilizzabile sia il filo che il nodo.
Qualsiasi studio sui rapporti tra i media e le fonti riguarda le relazioni tra i mezzi di informazione e il potere ideologico-politico.
E’ evidente che i mezzi di comunicazione hanno un valore e un costo economico, sono un oggetto di competizione per il controllo e l’accesso e sono soggetti a regolamentazioni di tipo politico, economico e legale.
In secondo luogo i mass media sono comunemente considerati come un efficace strumento di potere sulla base della loro capacità di attirare e dirigere l’attenzione, di esercitare una persuasione in materia di opinioni e pareri, influenzare il comportamento, conferire status e legittimazione e definire e strutturare la percezione della realtà.


Appare evidente la stringenza di questa visione con la realtà politica ed economica dei tempi che viviamo.
Senza cadere in facili banalismi, basse retoriche populiste di cui il nostro comune vivere politico quotidiano è sufficientemente ricco, non si può prescindere dalla considerazione di come e quanto buona parte dell’informazione soprattutto della stampa sia, non voglio dire politicizzata o strumentalmente orientata, ma indirizzata politicamente o canalizzata verso lobbies di parte come anche sottolineato dal precedente articolo di Simone Salandra.


Fino a qualche tempo fa si è sempre ritenuto che Internet potesse essere una sorta di zona franca, libera da tali condizionamenti. E' sicuramente ancora così, ma quello che mi chiedo, ancora per quanto?
Questa sorta di certezza granitica che il sottoscritto aveva fino a qualche anno fa, non è più tale.
Certi spazi, anche sulla Rete iniziano ad essere invasi anche da interessi politici o lobbies di parte atti ad orientare e canalizzare l’attenzione della massa. Intendiamoci, è legittimo tutto questo, né credo che l’ingerenza avuta sulla stampa e sulla televisione e su un certo tipo di informazione stampata e televisiva sia altrettanto facilmente replicabile anche sulla Rete, sebbene qualcosa in questo senso si stia muovendo.
La mia speranza è che la vera coscienza critica di questo Paese, ma in generale della massa non venga o non si lasci oscurare da certi interessi di parte e che la Rete in questo senso possa continuare ad avere il suo ruolo di imparzialità, di libero accesso, di trasversalità a 360°.
La sociologia che studia il management dell’informazione, non può non tenere conto di quello che la sociologia del giornalismo può dire in relazione alla natura del potere delle fonti . Il problema sta nel fatto che l’accesso ai media è concesso solo ad alcune fonti come ben sappiamo. La struttura di accesso ai media assicura vantaggi strategici ai “portavoce”  e non solo all’inizio, ma per tutto il periodo in cui il dibattito resta aperto.
Già nel 1978, durante il Convegno “Informazione e potere in Italia” promosso dalla Sezione Informazione e Cultura della direzione del Partito Socialista Italiano e dal Club Turati di Milano, Claudio Martelli sosteneva che “un’informazione diffusa, pluralistica, colta e popolare all’altezza di una società industriale moderna è ciò che dobbiamo costruire. Anche qui la politica di unità nazionale si misura con un’emergenza. Anche per l’informazione occorre una carta di principi, una Costituzione che determini regole e criteri. Nessuno può pensare di dettare le regole da solo, ma questo non esime ciascuno dal dovere di compiere delle scelte e di avanzare delle proposte. Se la lotta politica non si separa dal coraggio civile e dall’onestà intellettuale, tutti abbiamo da guadagnarne in questo paese. Anche per il mondo dell’informazione vale il motto del rinnovamento socialista: uscire dalla crisi, costruire il futuro” .
L’informazione dovrebbe svolgere (il condizionale mi pare d’obbligo) nei confronti del potere una prima funzione di controllo e quindi di limitazione.
E’ necessario pertanto imporre a tutti i mezzi di informazione la regola della trasparenza e un relativo intervento legislativo.
Forse è proprio questa mancanza che ci induce a parlare, anche oggi di crisi della comunicazione, crisi però non definitiva e irrimediabile, più probabilmente per indicare una fase critica di transizione.
Uno dei nodi maggiormente critici della questione è che forse informazione e tecnologia non hanno conosciuto un’evoluzione eguale, nel senso che mentre la tecnologia mostra tutte le sue potenzialità, la ricchezza delle informazioni non cresce di pari passo rappresentando spesso singole porzioni della società a svantaggio della ricerca della verità e della completezza dell’informazione stessa.
E’ necessario tenere conto dell’esistenza di possibili e probabili conflitti tra fonti ufficiali che possono influenzare la copertura informativa di determinati argomenti e delle differenze che esistono tra le stesse fonti accreditate.
L’aspetto centrale nel panorama ICT, specie a partire dalla fine degli anni ’90 è stata la diffusione di Internet come ben sappiamo e la conseguente crescita del traffico dei dati, sebbene in Italia il fenomeno della diffusione di Internet si sia verificato con un ritardo che si può stimare in circa tre anni rispetto agli USA.
Uno degli effetti più evidenti di Internet sul sistema di TLC è di aver incrementato sensibilmente il traffico di dati.
Il mercato dei prodotti e dei servizi multimediali basati su formati digitali ha raggiunto nel corso degli ultimi anni proporzioni considerevoli, dimostrandosi una realtà economica sempre più interessante e non solo sperimentale come poteva apparire agli inizi degli anni Novanta.
Lo sviluppo dei mercati digitali ha consentito al mercato multimediale di divenire una sorta di grande centro evolutivo dell’industria della comunicazione.
L’affermazione di Internet e la diffusione dell’Word Wide Web, hanno fortemente rivoluzionato il mercato telematico, imprimendo anche una spinta evolutiva ad altre industrie della comunicazione: dall’elettronica di consumo alla telefonia mobile, dall’editoria alla telefonia fissa. La creazione di un unico formato di produzione e distribuzione così efficace e diffuso per la gestione dei servizi multimediali e interattivi costituisce una sorta di motore evolutivo che sta determinando un profondo cambiamento dell’industria dei servizi.
Negli ultimi anni, i settori dell’informazione e della comunicazione sono stati interessati da numerosi cambiamenti nelle istituzioni, nelle tecnologie e nei mercati. In particolare, un elemento estremamente importante per il settore degli operatori delle telecomunicazioni è stato l’emergere del nuovo business del multimediale.
E’ il progresso tecnologico che ha reso possibile una nuova forma di comunicazione, quella di massa.
Essa è rivolta a pubblici relativamente vasti ed eterogenei i cui componenti siano anonimi nei riguardi del comunicatore. Il termine “pubblico di massa”, implica appunto quelle qualità di vastità, eterogeneità, anonimato, ma nell’uso comune, pubblico di massa indica quell’uditorio che abbia tutte quelle caratteristiche sociologiche proprie di uno speciale tipo di collettività umana, quale appunto la massa.


Nella loro collettività anonima i partecipanti sono separati nello spazio e nel tempo, costituiscono un insieme variabile di persone di ogni età, professione, grado di istruzione, accomunate unicamente dalla funzione del leggere e dalla ricezione visiva ed uditiva delle trasmissioni dei media.
Questo fenomeno di globalizzazione del ventesimo secolo è stato guidato essenzialmente dalle attività dei conglomerati della comunicazione, la cui evoluzione ha portato alla formazione di grandi concentrazioni di potere economico e simbolico mal distribuite e controllate da soggetti privati in grado di mobilitare enormi risorse e perseguire i loro obiettivi aziendali nell’area globale, ma ha condotto anche alla formazione di ampie rete di comunicazione attraverso le quali si diffondono in tutto il mondo informazioni e contenuti simbolici.
Inoltre lo sviluppo delle nuove tecnologie ha avuto un ruolo centrale nella globalizzazione delle comunicazioni dalla fine del ventesimo secolo.
Basti pensare alla produzione di reti via cavo sempre più complesse ed efficaci, in grado di trasmettere una grande quantità e varietà di informazioni.
Ricordiamo anche la crescente utilizzazione di satelliti per la comunicazione e ancora il crescente sfruttamento delle tecniche digitali per elaborare, immagazzinare e reperire le informazioni.
Una conseguenza importante della globalizzazione delle comunicazioni è che i prodotti dei media circolano entro un’area internazionale, mondiale. Però, oltre alle caratteristiche del flusso internazionale è importante focalizzarsi anche sui modelli di accesso alle reti globali e il tipo di comprensione dei messaggi trasmessi e l’uso che ne viene fatto.
E’ fin troppo facile non dedicarsi ad una piccola riflessione che è sotto gli occhi di tutti gli osservatori nelle ultime settimane sul tema delle intercettazioni su scala internazionale: il caso DATAGATE.



Secondo Der Spiegel, l’Europa sarebbe stata controllata dalla Nsa che avrebbe intercettato una media di 20 milioni di telefonate al giorno e 10 milioni di dati internet.
Non solo.
A Bruxelles sarebbero stati controllati il palazzo sede della Commissione Europea, il Consiglio d’Europa e vertice UE e l’Europarlamento.
Sembra inoltre, stando alle ricostruzioni fornite dall’ex tenente della Marina Usa, Wayne Madsen che i principali paesi europei avessero accordi con gli Usa per consegnare alla centrale di spionaggio americana tutti i dati raccolti dalle compagnie telefoniche e i dati relativi a Internet. Gli accordi sembra che risalissero al tempo della Guerra Fredda, ma secondo Madsen l’attività è diventata sempre più invasiva con lo sviluppo tecnologico con il beneplacito dell’UE.
Sostiene Viviane Reding, Vice Presidente della Commissione UE:” I partner non si spiano l’uno con l’altro. Non possiamo negoziare un grande mercato transatlantico se c’è anche il minimo dubbio che i nostri partner fanno attività di spionaggio negli uffici dei nostri negoziatori”.



E’ evidente quanto la situazione sia macro-politica e questa situazione renda particolarmente complessa e sensibile la questione circa i rapporti politici-diplomatici tra USA e UE.
Sottolinea il Prof. Giuseppe De Lutiis (uno dei più noti storici dei servizi segreti del nostro Paese) come e quanto “le intercettazioni sono spesso usate dai governi per orientare in senso gradito la politica di governi che facevano parte della loro sfera di influenza.”
Non solo e a maggior ragione sostiene e mi sento di condividere a pieno titolo quanto “… con le nuove tecnologie, con i cavi a fibre ottiche che connettono i continenti e con i satelliti, le possibilità si sono moltiplicate di un fattore 1000. Si può intercettare senza neppure spostarsi dalla sede del servizio, se si hanno le tecnologie giuste. Fare vere intercettazioni di massa che scattano automaticamente quando l’interlocutore pronuncia una serie di parole sensibili.”
Conclude il Prof. De Lutiis ritenendo che l’unica forma di difesa e tutela dei cittadini è un severo controllo parlamentare. “…regole nette per i capi dei servizi. E poi devono ringraziare Wikileaks che rappresenta l’unica forma di autotutela contro l’abuso di questi superpoteri. Wikileaks, e tutte le altre gole profonde sono un’efficace forma di controguerriglia da parte dei cittadini perché, esponendo i servizi al rischio che la loro attività illecita venga svelata, possono indurli ad una certa cautela”.



E’ evidente al di là delle rassicurazioni da parte dell’amministrazione statunitense e all’attiva collaborazione manifestata che ormai “il dado è tratto”.
Non solo in Europa, ma negli stessi Stati Uniti lo sdegno è a livelli altissimi.
Solo pochi giorni fa, La Stampa, pubblicava un interessante articolo, proprio su quest’ultimo aspetto, segnalando come a dimostrazione di quanto sostenuto, “StopWatching.us , un sito web creato tre settimane fa, ha già raccolto più di 531 mila firme di persone che si oppongono ai programmi di sorveglianza della NSA. Cusack, anche membro del consiglio della Freedom Press Foundation, lamentava che molti difensori dei programmi di sorveglianza della NSA si stanno concentrando su presunte anomalie personali e caratteriali di Snowden e dei giornalisti, invece che sulla sorveglianza stessa e sui problemi riguardanti la sua legalità.
Sarebbe quanto meno opportuno ricordare come ai sensi del titolo II della LIBERTA’, art. 8, co1,2 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea che “ogni persona ha diritto alla protezione dei dati di carattere personale che la riguardano. Tali dati devono essere trattati secondo il principio di lealtà, per finalità determinate e in base al consenso della persona interessata o a un altro fondamento legittimo previsto dalla legge. Ogni persona ha il diritto di accedere ai dati raccolti che la riguardano e di ottenerne la rettifica.”
La stessa Convenzione Americana sui Diritti Umani (1969), all’art.11 , co1,2 disponeva che ”ognuno ha diritto al rispetto del proprio onore e al riconoscimento della propria dignità e che nessuno può essere oggetto ad interferenze arbitrarie o abusive nella sua vita privata, nella sua famiglia, nel domicilio, o nella sua corrispondenza, o ad attacchi al suo onore o alla sua reputazione”.
Non solo.
La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani approvata e proclamata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, all’art. 12 dispone che “nessun individuo potrà essere sottoposto ad interferenze arbitrarie nella sua vita privata, nella sua famiglia, nella sua casa, nella sua corrispondenza, né a lesione del suo onore e della sua reputazione. Ogni individuo ha diritto ad essere tutelato dalla legge contro tali interferenze o lesioni.
Se arriviamo al punto in cui un’amministrazione di uno dei Paesi più potenti, importanti ed influenti del mondo si arroga il diritto/dovere di sospendere l’efficacia di tali principi di valore assoluto o solo di pensare di metterli in secondo piano, siamo ben oltre l’imbarbarimento dei costumi.





Nessun commento:

Posta un commento